lunedì 16 dicembre 2013

Un anno dopo

Se riavvolgo il nastro mi rendo conto di quanto stessi male.
E mi rendo anche conto di quanto rifiutarsi di ammetterlo. Non era un problema mio ma di tutto il resto del mondo.
Erano "gli altri" ad avercela con me, e ne trovavo dimostrazioni continue in ogni gesto, in ogni sguardo, in ogni parola detta o non detta.
Se non erano le persone erano le circostanze, il destino, la sfiga, la congiuntura astrale, i maya, il clima...
Era brutto.
Non si vive bene quando senti che l'unico posto sicuro sono le pareti di casa tua, quando alzarti dal letto al mattino ti costa una fatica che nemmeno la traversata in solitario dell'Atlantico, quando tutti sono potenziali nemici.
E se qualcuno ti dice che non è vero è solo l'ennesima dimostrazione di quanto tu sia incompresa e sottovalutata.
Passi il tempo a difenderti da attacchi immaginari e così esponi il fianco a quelli reali, fino a quando arriva qualcuno che ti stende definitivamente.
Che alla fine va bene così, perché fino a quando continui ad autoconvincerti che va tutto bene e puntelli con travi e travicelli tutto il tuo essere per non crollare non fai altro che rimandare la soluzione.
Invece dal disastro ricominci, e cerchi di ricostruire fondamenta solide per non crollare di nuovo.
Ed è mica facile: non ne sono mica uscita del tutto, ma almeno ho dato un nome al mio disagio, se le cose si materializzano le puoi combattere.
E' un periodo difficile per Emmegrande: le medie, l'adolescenza incombente, gli ormoni allo sbaraglio gli complicano la vita e a noi di conseguenza. Emmepiccola reclama il suo fratellone come lo conosceva e diventa insofferente e piagnucolone, Emmemaxi aggiunge lavoro a lavoro per vedere di tirar su quel poco di più che basterebbe per arginare le nefaste conseguenze della crisi economica, della macchina da cambiare, delle mille cose che si sono rotte/guastate negli ultimi mesi.
E io arranco, sbuffo, mi arrabbio, mi sveglio la notte in un bagno di sudore con il cuore che va a mille.
Ma non è colpa di nessuno, nessuno ce l'ha con me, è la vita e queste sono le sue conseguenze naturali, affrontandole nel modo migliore poi passano.
Conto fino a cento, mille, diecimila, mi arrabbio e urlo ma cerco di resistere alla tentazione di prendermela di nuovo con il mondo intero.
Diciamo che la fase di ricostruzione di me stessa è arrivata più o meno al pavimento del pianterreno.
Devo mettermi d'impegno per campare almeno fino a cent'anni se voglio arrivare al tetto.
Ma mi accontenterei di un solido e robusto piano ammezzato.

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